1. L’Inquisitio artis in XI orationibus Ciceronis

1.1. Antonio Loschi e gli inizi della retorica umanistica
1.2. Ideazione e composizione
1.3. Il commento alle orazioni di Cicerone
1.4. Il metodo in atto: la definizione degli stati di causa
1.5. Loschi e Quintiliano


Cronologia delle lettere pontificie dettate da Antonio Loschi

Le notizie sono tratte dalle Appendici II (lettere pontificie dettate da Antonio Loschi e contenute nel ms. PARIS, Archives Nationales, LL4A, qui indicate con un numero in neretto) e III (altre lettere pontificie di Loschi, indicate con un numero in chiaro), integrate dalle Commissioni di Rinaldo degli Albizzi (= Comm.) e dall’epistolario di Poggio Bracciolini (= HART).

1411

maggio, Roma: 1

novembre, Roma: 2


1412

 luglio, Roma: 3

settembre, Roma: 4-5

dicembre, Roma: 6


1413

febbraio, Roma: 7


1414

maggio, Bologna: 8-9

dicembre, Costanza: 10


1415

febbraio, Costanza: 11

aprile, Luffenberg (dioc. di Basilea): 12-13

maggio, Friburgo (dioc. di Costanza): 14


1421

ottobre, Roma: 1

novembre, Roma: 20


1422

febbraio, Roma: 88

marzo, Roma: 15, 29, 111

aprile, Roma: 16, 15, 27, 62, 92, 93, 110, 165

maggio, Roma: 17, 32, 81, 98, 109, 145

giugno, Roma: 30, 72, 77, 101, 124

luglio, Roma: 34, 105; Tivoli: 18, 94, 100

agosto, Roma: 71, 75; Vicovaro: 19-21

settembre, Roma: 23, 2, 30, 31, 73, 103; Tivoli: 22, 96, 99

ottobre, Roma: 24, 25, 5, 16, 95

novembre, Roma: 14, 21, 28, 41, 85, 87, 89, 104, 150

dicembre, Roma: 33, 40, 58, 70, 107, 148, 258


1423

gennaio, Roma: 48, 54, 86, 130

febbraio, Roma: 26-30, 25, 35, 52, 56, 57

marzo, Roma: 31, 57

aprile, Roma: 37, 53, 55, 65, 113

giugno, Roma: 32, 44, 49, 68, 69

luglio, Roma: 26, 106

agosto, Roma: 33-34, 46, 78


1424

febbraio, Roma: 23, 80

maggio, Roma: 108

giugno, Roma: HART II 32-33

agosto, Abbiategrasso: Comm. II 179, 182-83

settembre, Bologna: Comm. II 191-92

ottobre, Roma: HART I 136-38

dicembre, Roma: 4


1425

febbraio, Roma: 112

marzo, Roma: 36

aprile, Roma: 37, 178; HART I 141

maggio, Roma: 38, 332

giugno, Roma: 39-41

luglio, Roma: 42, 43

agosto, Roma: 44, 45


1426

febbraio, Roma: 46

marzo, Roma: 47, 48

aprile, Roma: 49; HART II 59

maggio, Roma: 50

giugno, Roma: 181, 182

luglio, Roma: 51-53

ottobre, Roma: 70

novembre, Roma: 54


1427

gennaio, Roma: 55, 56

febbraio, Roma: 57

marzo, Roma: 58

aprile, Roma: 59

maggio, Roma: 209, 210

giugno, Roma: 232, 234, 247

luglio, Roma: 60, 61, 225

settembre, Roma: 236, 237

ottobre, Roma: 62


1428

marzo, Roma: 63, 64

maggio, Roma: 65

giugno, Roma: 66

ottobre, Roma: 67

novembre, Firenze: HART I 185, 191


1429

giugno, Firenze: HART I 115-18

luglio, Firenze: HART I 212-13

agosto, Firenze: HART I 85-86

dicembre, Roma: 68


1430

febbraio, Roma: HART I 99-101

marzo, Roma: 69-71

luglio, Roma: 72-74

agosto, Roma: HART II 104

settembre, Roma: 75

ottobre, Roma: 76

dicembre, Roma: 77


1431

gennaio, Roma: HART I 96-98

febbraio, Roma: 78

dicembre Roma: 79


1432

aprile Roma: 80

novembre Roma: 81


Antonio Loschi, segretario pontificio (1409-1441)

Nel 1409 si aprì con il concilio di Pisa. L’elezione al soglio pontificio del Filargo sembrò aprire a Loschi nuove e promettenti possibilità, infatti il 22/23 settembre il vecchio amico, ora Alessandro V, gli conferì l’incarico di scriptor litterarum apostolicarum al posto di Giovanni da Montemonico. Loschi seguì il papa a Pistoia e Bologna, anche se non svolse il suo incarico con continuità. Comunque il 14 dicembre ottenne dal pontefice la garanzia dell’incarico a vita nonostante il matrimonio. La conferma di questo privilegio con una bolla sarà uno dei primi atti del successore di Alessandro V, Giovanni XXIII, compiuto proprio il giorno dell’incoronazione (25 maggio 1410). Tracce dell’attività di Loschi come segretario si trovano solo nei sommari tratti da un registro oggi perduto, dove figura come esaminatore di alcuni candidati all’ufficio di notaio. Il pontificato di Pietro Filargo fu troppo breve perché Loschi potesse trarne beneficio. Ben diversamente andarono le cose con Giovanni XXIII: anche in questo caso, come abbiamo visto, Loschi poteva vantare un rapporto personale già aperto con il nuovo pontefice. E Baldassarre Cossa non tardò a servirsi di lui: da questo momento l’attività di Loschi in Cancelleria e nella Camera cominciò a intensificarsi. Viene impiegato anche in missioni diplomatiche nel 1410 e nel 1413, ma soprattutto come nunzio in Germania nel 1411, probabilmente diretto al re dei romani Sigismondo. Giovanni XXIII seppe ricompensare Loschi dei servigi resi investendolo di numerosi benefici. Accompagnò il papa al concilio di Costanza nel 1414-15, dove partecipò ai lavori come primo notaio pontificio, e con lui ne fuggì, riparando poi a Vicenza. Qui riprese l’attività letteraria, ospitando Francesco Barbaro, il Filelfo e lo storico Antonio Godi.
Il papa eletto dal concilio di Costanza, Martino V, poteva avere conosciuto Loschi ai tempi del concilio di Pisa, o ancora prima sotto Innocenzo VII, all’epoca della missione per conto della repubblica veneziana. Subito comunque lo volle intorno a sé, nella schiera di umanisti e dotti che trasse dalle tre vecchie obbedienze. Loschi raggiunse la Curia a Mantova, mentre il papa era in viaggio verso Roma, e lì il 12 dicembre 1418 prestò giuramento come segretario pontificio. Non proseguì con la corte papale, ma rientrò a Vicenza dove ricevette i saluti di Francesco Barbaro. A Roma comunque fu presente almeno a partire dall’inizio del 1421, quando si trovano nei registri pontifici le sue prime lettere dettate a nome di Martino V. In questo momento Loschi era certamente il più esperto e autorevole membro della segreteria. Pochi mesi dopo, il 26 marzo 1422, Loschi fu onorato da un diploma pontificio che gli concedeva la cittadinanza romana. Dal documento, redatto dall’amico Cencio de’ Rustici, risulta che la nomina era legata alla volontà di ripristinare e accrescere il prestigio della nuova Roma.
Sotto Martino V Loschi visse un decennio di attività frenetica, non solo per le innumerevoli lettere pontificie di ogni tipo composte (se ne trova traccia nei Registri Vaticani e in quelli Lateranensi, oltre che negli originali dispersi negli archivi europei e, come vedremo nel cap. 4, nei codici della “corrispondenza politica di Martino”), ma anche compiendo per il papa missioni diplomatiche, perché l’impiego di segretario: "comportava, com’è ovvio, una perspicua valutazione dei problemi, degli atteggiamenti, in una parola della linea politica della Sede apostolica. I segretari erano infatti i collaboratori più stretti dei papi, non soltanto per la stesura dei testi, ma altresì per la trattazione degli stessi affari di stato"; inoltre Loschi vantava una rete di relazioni già ampia e consolidata. Fu così impiegato tra il 1423 e il 1426 per trattare con Filippo Maria Visconti la cessazione delle ostilità nell’Italia centrosettentrionale e nell’ambito dell’offensiva diplomatica volta a isolare Braccio da Montone. Nella seconda metà del 1426 giunse a Buda presso l’imperatore Sigismondo (già conosciuto ai tempi di Giovanni XXIII e del concilio di Costanza), che il 22 agosto 1426 lo creò conte palatino e, pare, gli concesse l’alloro poetico (come risulta dal codice VICENZA, Bibl. Comunale Bertoliana 336 [M41], f. 3r). Di questa missione non rimane traccia nella documentazione ufficiale di parte pontificia o imperiale;73 se si osserva la cronologia delle lettere di Antonio Loschi, però, risulta evidente la sua assenza tra il luglio e il novembre 1426, che dovrebbero quindi essere gli estremi del viaggio in Ungheria. Ancora una volta la scelta di Loschi non fu casuale: a partire dal 1421 aveva seguito con assiduità lo svolgimento della guerra agli eretici ussiti in Germania e Boemia, con il coinvolgimento del re di Polonia e del duca di Lituania (sono numerosissime a questo proposito le lettere nei registri pontifici e soprattutto nella corrispondenza politica).
Di questa intensissima attività risentirono gli studia humanitatis; certo Loschi manteneva i contatti con l’ambiente milanese, tenendosi aggiornato sui progressi del giovane Decembrio e cantando la sottomissione di Genova al nuovo duca Filippo Maria con un carme che è stato considerato il suo addio all’attività poetica, ma, in effetti, la principale riuscita letteraria del periodo sembrano essere stati i versi premessi alle commedie del Plauto del Cardinale Orsini.
Loschi, però, era stato chiamato a Roma anche per partecipare alla ricostruzione del tessuto culturale e intellettuale dello stato pontificio, e ripristinare gli usi degli antichi romani, come si dice esplicitamente nella concessione della cittadinanza. Effettivamente all’interno della segreteria si formò un affiatato cenacolo di umanisti, quello descritto nelle Facezie di Poggio, che si riuniva nel “bugigale” e portavano avanti una conversazione che oscillava tra la satira tagliente e la risata grassa. Loschi, "vir admodum facetum" era uno degli animatori del bugigale, in cui forse riviveva i convegni pavesi nel castello di Gian Galeazzo. Come si desume soprattutto dall’epistolario di Poggio, era un circolo che si occupava appassionatamente di libri e autori antichi, e in generale dell’antichità ricostruendo cene “alla romana” o raccogliendo le iscrizioni dei monumenti. Ma poteva diventare anche una lobby attiva nella politica curiale, come dimostrano le pressioni in opposizione a Valla e in favore di Giuseppe Brivio e del Filelfo.
Negli stessi anni, Poggio concepiva il De varietate fortunae (che vedrà la luce tra il 1448 e il 1455, anche se la finzione letteraria colloca il dialogo tra “Antonius Luscus” e “Poggius” nel 1430), come risulta dalla lettera a Loschi del 20 giugno 1424 in cui compaiono già exempla che troveranno poi posto nella redazione definitiva. La scelta di Loschi come protagonista potrebbe non essere stata casuale: alcune vicende scelte da Poggio come emblematiche riguardano personaggi con cui Loschi aveva avuto a che fare, su tutti Giangaleazzo Visconti e Braccio da Montone (quest’ultimo aveva compiuto la sua parabola da pochissimo tempo; Loschi forse conobbe Braccio al tempo della reggenza di Bologna e, dopo aver lavorato intensamente per tessere la rete di alleanze che doveva portare alla sua sconfitta, dettò anche il breve con cui Martino V comunicò la vittoria ai principi della cristianità, cf. la lettera 12 nell’Appendice II). Inoltre se il tema della volubilità della fortuna aveva illustri precedenti nell’Umanesimo (Petrarca,Boccaccio e il più immediato De fato et fortuna di Coluccio Salutati), anche il giovane Loschi aveva mostrato un forte interesse per l’argomento; pertinenti considerazioni sulla cupa insistenza sul fato e sulla "sempre mobile ruota della fortuna" che "trascina nel rapido giro le sorti degli uomini" (parole di Loschi nell’Achilles) sono sviluppate a più riprese da Garin, che sottolinea anche il legame con gli astrologi padovani provato dai carmi indirizzati al medico Jacopo Dalla Torre da Forlì.
Loschi è protagonista (insieme a all’amico Cencio de’ Rustici) di un altro dialogo poggiano, il De avaritia, dove il suo discorso costituisce "il punto focale dell’operetta": tessendo le lodi dell’avarizia, sottolinea l’effettiva utilità sociale di quegli uomini desiderosi di arricchirsi che sono la vera base della città. Del resto per Poggio la scelta stessa di Loschi come difensore dell’avarizia costituiva un paradosso ironico: "tribueram primas partes culpandi avaritiam Cincio, qui habetur avarus; defendendi vero Antonio, qui est fere prodigus: id consulto feceram, ut et avarus impugnaret avaritiam, et prodigus tuererur".
Alla morte di Martino V Loschi ne compose l’epigrafe per la tomba in S. Giovanni in Laterano, diversa dell’epitaffio che si trova in BAV, Vat. Lat. 5994, f. 74v. Tra il 1432 e il 1435 Loschi fu al servizio di Eugenio IV. La facoltà di erigere nella cattedrale di Vicenza una cappella per la propria famiglia, ottenuta dal pontefice il 28 marzo 1432, indica che le radici venete non si erano inaridite (come del resto attesta il suo continuo andare e venire da Vicenza) e che si avvicinava il momento di prepararsi al trapasso. Quando, nel giugno 1434, Eugenio IV fu costretto a lasciare Roma, Loschi lo seguì a Firenze, dove si riunì a Leonardo Bruni (cancelliere della repubblica fiorentina), Biondo Flavio, Andrea Fiocchi e tutta la schiera di intellettuali richiamati dal concilio d’unione con la chiesa greca. Lì, la primavera del 1435, nell’anticamera papale a S. Maria Novella, ebbe luogo la famosa “questione della lingua”, a cui presero parte Bruni, Poggio, Fiocchi e Rustici. Nello stesso anno Loschi lasciò la curia per ritirarsi a Vicenza dove poteva riconciliarsi, secondo le esortazioni di Francesco Barbaro, con i suoi vecchi amici, i libri, (anche se esistono documenti pontifici posteriori recanti la sua firma o di altri per lui). Nel 1440 pare fosse di nuovo a Roma per incarico di Filippo Maria Visconti, da dove scrisse a Pier Candido Decembrio lamentandosi di non aver ricevuto compenso dal duca.
Si ritirò infine a Vicenza, dove morì tra il 25 maggio e il primo ottobre 1441.


Antonio Loschi, cancelliere visconteo (1368-1408)

Antonio Loschi nacque a Vicenza intorno al 1368 da Elena Regle del Gallo e Ludovico Loschi, dottore in diritto civile e personalità rilevante nella vita cittadina, che era entrato al servizio degli Scaligeri di Verona svolgendo anche missioni presso Gian Galeazzo Visconti a Milano. Compiuti i primi studi nella città natale e in seguito in altri centri veneti, pare Padova, Antonio, forse sulle orme del padre, si impiegò presso la corte scaligera di Verona, che in quel momento governava Vicenza.
Non sono molti gli elementi che consento di ricostruire la carriera scolastica di Antonio Loschi. La sua frequenza alla scuola di Giovanni Conversini a Padova è una pura ipotesi avanzata dal Da Schio e ripresa dai biografi successivi, mentre più accertati sono gli studi di grammatica sotto Paolo Piloni (che dedica al suo pupillo un poemetto encomiastico e un’orazione). Aveva comunque già preso gli ordini minori, se poté godere di un beneficio a Treviso intorno al 1385.
In questi anni Loschi era alla ricerca di un impiego più sostanzioso; la presenza del concittadino e amico Giovanni da Thiene a Napoli fu forse l’occasione per sondare la disponibilità di quella corte: a questo scopo dovrebbe essere stato rivolto il poema per Carlo III di passaggio a Vicenza nominato nella lettera a Ladislao Durazzo, a cui forse fece seguito un soggiorno nella capitale angioina dove avrebbe praticato per qualche tempo gli studi legali. L’occasione d’oro si presentò nell’ottobre 1387, quando Verona cadde sotto il dominio di Gian Galeazzo Visconti. Loschi si trovava a Firenze, dove aveva intenzione di farsi discepolo di Coluccio Salutati, ma quella "rerum illius patriae repentina mutatio" lo spinse a rientrare precipitosamente, prima ancora dell’inizio dell’insegnamento. Non cambia molto la sostanza degli eventi se si interpreta patria come la nativa Vicenza piuttosto che come Verona, perché pochi giorni dopo la caduta della capitale scaligera il Visconti occupò anche quella città, sorprendendo i contemporanei che la ritenevano destinata a Francesco I da Carrara, signore di Padova e alleato del conte di Virtù. Loschi era comunque diventato un cittadino dello stato milanese e l’inserimento in un contesto più ampio offriva nuove prospettive alla sua carriera. Se dopo la conquista aveva potuto stringere rapporti con il nuovo vescovo di Vicenza Filargo e con il governatore visconteo Ugolotto Biancardo, già l’anno seguente, prima di giugno, Loschi fece la sua comparsa a Pavia, sede dell’unica università dello stato visconteo, dove si iscrisse alla facoltà di arti ("Papiae scholaris in artibus existit" si afferma nell’indulto di Bonifacio IX del 1389, ma il nome di Loschi non compare mai nelle fonti relative all’Università di Pavia), e dove allacciò rapporti con l’ambiente culturale milanese, in particolare con Giovanni Manzini, e con la corte di Gian Galeazzo, in questo favorito forse anche dalle precedenti conoscenze del padre. Verosimilmente a Pavia Loschi fu allievo del Travesio, insieme con Barzizza.
In procinto di lasciare Vicenza per Pavia, Loschi si era rivolto a Coluccio annunciandogli l’intenzione di iscriversi all’università pavese e chiedendogli raccomandazioni per entrare nella cancelleria di Milano. Raccomandazioni che devono essere andate a buon fine, visto che a partire dal 1390 si sviluppò una corrispondenza a tre (Loschi stesso, Coluccio, Pasquino Capelli) che ce lo mostra particolarmente vicino al capo della cancelleria milanese, come confermato anche da una lettera del 1390 di Giacomo Allegretti a Pasquino. Nell’anno precedente (il 1389) si situa l’ingresso di Loschi nel capitolo della cattedrale di Padova, episodio notevole per la menzione nel diploma d’investitura del predecessore non immediato: Francesco Petrarca. L’episodio si ricollega senza dubbio al culto petrarchesco che informa ogni manifestazione del giovane Loschi ("che non si stancava di ricalcarne, quasi un Petrarca redivivo, le più piccole orme, la stessa città, la stessa casa"), ma è stato ricondotto da Giuseppe Billanovich a un contesto più ampio, cioè alla necessità per Giangaleazzo di assegnare a una persona competente e fidata la preparazione del trasferimento a Pavia della biblioteca dei Carraresi (cioè di quella petrarchesca). Sempre nel 1389 Loschi aveva soggiornato brevemente a Roma, probabilmente proprio per accertarsi che il diploma venisse rilasciato nella forma desiderata.

Nella cancelleria viscontea Loschi si trovava coinvolto nel carteggio a proposito del De lingua latina di Varrone proveniente dalla biblioteca di Petrarca e richiesto da Coluccio e delle lettere ciceroniane Ad Atticum della biblioteca capitolare di Verona (che portò alla scoperta delle Ad familiares nella biblioteca capitolare di Vercelli). In una di queste lettere Loschi informava il maestro fiorentino della sua intenzione di comporre una versione poetica dell’Iliade, probabilmente rielaborando il testo di Leonzio Pilato; sappiamo anche della sua intenzione di lavorare sulla figura di Ulisse nell’Odissea. Codici delle traduzioni di Iliade e Odissea di Leonzio Pilato, copiati tra XIV e XV secolo dal Parigino 7880 già del Petrarca (quindi dalla biblioteca dei Carraresi passata ai Visconti), e appartenuti al figlio di Antonio, Niccolò, si trovano nella Biblioteca Nazionale di Napoli con la segnatura V E 29 e V E 30. Da notare che tale impegno non richiedeva a Loschi alcuna conoscenza di greco, e a questo proposito andrebbe accertato il valore delle notizie fornite da Leonardo Bruni nel proemio del Fedro e da Enea in una lettera al duca d’Austria da cui sembra doversi dedurre la sua presenza in quel gruppetto di umanisti che partecipava alle informali lezioni tenute da Manuele Crisolora nel corso del suo soggiorno a Milano (se non più semplicemente il riconoscimento della presenza del grande greco alla radice dell’umanesimo quattrocentesco). Dalle opere di Loschi non si desumono altri elementi a favore della sua conoscenza del greco, anzi: dell’Inquisitio artis (che comunque sarebbe anteriore alle lezioni del Crisolora) risulta che l’unica fonte greca, la Retorica di Aristotele, è letta nella traduzione medievale di Guglielmo di Moerbeke, il nome greco attribuito a ciascuna figura retorica sembra tratto dalla tradizione lessicografica medievale. Come l’ispirazione per il lavoro su Omero, anche il resto dell’opera loschiana di questi anni porta chiari i segni dell’influenza petrarchesca: l’Inquisitio artis in orationibus Ciceronis prende spunto dalla raccolta di orazioni ciceroniane assemblate da Petrarca, e la fabula Zapelleti è chiaramente sulla scia della versione latina della Griselda.
Altri esponenti del circolo letterario che si riuniva intorno alla biblioteca del castello di Pavia e sotto la protezione di Pasquino Capelli sono Umberto Decembrio, Giovanni Manzini della Motta da Fivizzano, Matteo d’Orgiano e Moggio Moggi, ma anche Pietro Filargo. Intorno e dentro la biblioteca viscontea, perché per questi umanisti i libri che furono di Petrarca sono il principale stimolo culturale. Quando ormai aveva lasciato la capitale viscontea, mantenne intensi legami non solo con i vecchi compagni ma anche con le nuove generazioni dell’ambiente milanese, ci appare per esempio in contatto con Antonio da Rho.
Da queste lettere emerge la figura di un ragazzo che sta ancora completando la sua formazione piuttosto che quella di un funzionario a pieno titolo. Testimonianze certe della permanenza di Loschi a Pavia in questi anni sono la poesia per due inviati straordinari milanesi in Francia (23 ottobre 1394) e il discorso tenuto per la laurea in medicina di Matteo da Vittuone (inizio del 1396 circa). Nel frattempo, nel 1393, Loschi aveva sposato Elisabetta Brivio sorella del letterato milanese Giuseppe. Assunse quindi, come anche altri suoi colleghi umanisti, la condizione di clericus coniugatus, conforme alle norme di diritto canonico, ma che la Chiesa stava cercando di limitare.
All’ultimo decennio del Trecento risalgono anche alcuni approcci con i circoli letterari nati intorno alla cancelleria del re di Francia. Le tracce sono tenui, ma si può osservare che tali contatti avvengono in nome di quelli che anche oltralpe sono considerati i “classici” italiani, non direttamente Petrarca, ma i suoi emuli Boccaccio e Salutati. Loschi infatti rivolge il suo unico carme epistolare indirizzato fuori dall’Italia a Laurent de Premierfait, noto soprattutto come volgarizzatore di Boccaccio, ma considerato dai suoi contemporanei valido oratore e poeta (come tale lo esalta Loschi), oltre che dotto impegnato nello studio dei classici. Nella direzione opposta, conosciamo una lettera di Jean de Montreuil con cui il cancelliere del re di Francia prende contatto con il segretario visconteo: vanta il rapporto con Coluccio, di cui possiede diverse opere e prega Loschi di inviargli suoi scritti invitandolo nel contempo a Parigi. Non pare che questi approcci abbiano avuto un seguito, comunque possiamo osservare che uno dei primi compiti che Loschi ebbe da Martino V fu di occuparsi della corrispondenza relativa alla guerra dei cent’anni e dei tentativi dei legati papali di porvi fine.
Al 1397 va attribuita con ogni probabilità l’invectiva in Florentinos (preceduta da uno scambio di sonetti in volgare), puntello ideologico della politica espansionistica del Visconti, che era stata preceduta dall’exhortatio ut pacem cogitet per viam belli, affine per contenuto, rivolta sempre da Loschi al duca Gian Galeazzo. Sebbene l’invectiva sia stata spesso vituperata in quanto antagonista della Florentina libertas, in difesa della quale si levarono le voci di Cino Rinuccini e, più tardi, di Coluccio Salutati, lungi dall’essere "priva di ordine e logica" essa risulta "agile, vibrante, nervosa, degna del ciceroniano insigne".
Entro la fine del Trecento dovrebbero aver visto la luce anche tutte le altre principali opere letterarie di Loschi (oltre a gran parte della produzione poetica): il volgarizzamento delle Declamationes maiores dello pseudo Quintiliano, la tragedia Achilles, la versione latina dell’ultima novella del Decameron (Fabula Zapelleti) e soprattutto l’Inquisitio artis in orationibus Ciceronis, primo commento umanistico alle orazioni ciceroniane.
Un ombra su questi ultimi anni viene da una poesia rivolta a Francesco Barbavara, primo consigliere di Gian Galeazzo, in cui il poeta lamenta di essere stato allontanato ingiustamente dalla corte chiedendo al destinatario, una volta suo promotor, di rendere possibile un ritorno a Pavia. Le preghiere devono essere andate a buon fine se dal 1398, e solo da questo momento, l’attività di Loschi nella cancelleria milanese è attestata con certezza. A partire dal 26 giugno 1398 fino al 16 novembre 1403 si trovano documenti di Gian Galeazzo firmati A. Luscus o Antonius Luscus. La sua ascesa non sembra comunque da mettere in relazione con la caduta di Pasquino Capelli (imprigionato proprio nel 1398), come normalmente viene fatto sulla scorta di una frase di Coluccio. Nella cancelleria di Gian Galeazzo Loschi sembra essere stato una figura di secondo piano, non sicuramente uno di quelli che si occupavano della politica dello stato, e nemmeno una delle figure più in vista delle cancelleria. Girgensohn identifica in Giovanni da Carnago il vero successore di Pasquino Capelli.
Dopo la morte di Gian Galeazzo (3 settembre 1402), le attestazioni dell’attività di Loschi si infittiscono, a conferma del forte legame con Francesco Barbavara, che in quel momento travagliato assumeva responsabilità di governo a fianco della vedova e dei giovanissimi eredi del duca. Larghissima diffusione ebbe l’epitaffio composto da Loschi per il Giangaleazzo.
La rovina dello stato visconteo, con le inevitabili incertezze sul ruolo di chi è impiegato nell’amministrazione consigliarono però il vicentino a lasciare Milano per rientrare a Vicenza entro il 1404, tanto più che Barbavara era stato costretto a lasciare in fuga la città. Loschi si decise a malincuore, come dimostrano l’epistola metrica con cui esorta i vicentini a conservare la fedeltà ai Visconti (datata 12 marzo 1403) e la partecipazione con cui rievoca quegli eventi scrivendo a Filippo Maria Visconti nel 1412. A dispetto delle esortazioni di Loschi, il 25 aprile 1404 l’esercito di Venezia occupò Vicenza in seguito alla richiesta di protezione avanzata da una qualificata delegazione cittadina, di cui facevano parte Ludovico Loschi e altri due illustri vicentini e parenti di Antonio, Pietro Proto e Giacomo Thiene. Forse ancora una volta grazie al padre, quindi, Antonio ritornò alla vita pubblica nel giugno 1406 come ambasciatore della repubblica veneziana presso Innocenzo VII, con il delicato incarico di ottenere il trasferimento ad altra sede del vescovo di Verona (città sotto il dominio veneziano dal giugno 1405) Giacomo Rossi, di parte viscontea. Loschi tenne almeno due orazioni davanti al pontefice, e nel settembre poteva ringraziarlo per aver affidato la diocesi veronese a Angelo Barbarigo, veneziano.
Sulla strada per Roma Loschi aveva sostato a Perugia, dove era stato raggiunto da una lettera di Giovanni Tinto Vicini da Fabriano che lo proclamava erede di Coluccio, adulazione da cui si schernisce nella lettera di risposta (spedita da Roma il 25 ottobre 1406). Come benvenuto il segretario pontificio Francesco da Fiano gli rivolse un carme elogiativo, e anche in questo caso Loschi rispose entro pochi giorni dando vita alla gara poetica riferita da Pier Paolo Vergerio. Se nella lettera di Giovanni Tinto Loschi era proclamato successore del Salutati, ora Fiano punta più in alto: Nuper ad hanc urbem Latialis gloria linguae / unica, divini venit post fata Petrarcae, / Luschorum de stirpe natus. E davvero, come si è visto, fino a quel momento Loschi aveva calcato le orme dell’iniziatore dell’umanesimo. Si può a questo proposito ricordare che Loschi aveva anni prima domandato a Umberto Decembrio la sua opinione sull’opera petrarchesca (sottointeso latina), ottenendone una lettera di risposta che costituisce la probabile fonte di un passo dei Dialogi ad Petrum Paulum Histrum di Leonardo Bruni.
Da subito dunque, durante il soggiorno alla corte pontificia, Loschi aveva preso contatto con il circolo letterario che gravitava intorno alla Curia (Bartolomeo Capra, Leonardo Bruni, Cencio de’ Rustici, Bartolomeo Aragazzi da Montepulciano, Francesco Piendibeni da Montepulciano). In una lettera dell’agosto, Bruni chiese al Niccoli di inviargli a Roma copia di alcune sue traduzioni dal greco per offrirle a Loschi; si tratta della Vita di Marco Antonio di Plutarco insieme ad alcuni opuscoli di Senofonte (De tyranno) e di s. Basilio (De studiis). Anche dopo la riuscita della sua missione Loschi si attarda ancora a Roma, che lascia dopo il 25 ottobre, comunque prima della morte di Innocenzo VII e prima di essere raggiunto dalle nuove istruzioni del doge Michele Steno, che lo incaricano di portare gli omaggi della repubblica al nuovo pontefice.
Gregorio XII (il veneziano Angelo Correr) chiamò presto a sé Loschi, di cui forse aveva potuto apprezzare le capacità durante la missione appena conclusa, rilasciandogli un passaporto in cui lo dice magister, secretarius et fidelis (1 gennaio 1407). Non c’è prova diretta che al titolo sia corrisposto un effettivo impiego al servizio del pontefice, e nemmeno di un soggiorno a Roma, che in ogni caso dovrebbe essere stato molto breve se due poesie datate a Vicenza rispettivamente il 28 agosto e l’8 settembre 1407 stabiliscono il termine ante quem di quello che sarebbe il primo incarico di Loschi presso la Curia.
Ai mesi seguenti appartiene una serie di lettere, che dovevano avere anche il fine non secondario di conseguire un impiego, rivolte a condottieri (Giacomo dal Verme e Carlo Malatesta, signore di Rimini) e cardinali (Pietro Filargo, conosciuto come vescovo di Vicenza e consigliere di Gian Galeazzo, e Baldassarre Cossa); inoltre a Niccolò III d’Este, signore di Ferrara e al doge Michele Steno. Il 1408 è anche l’anno della morte del padre di Antonio.


Biografia di Antonio Loschi (1368-1441)

Come è stato rilevato anche di recente, non esiste ancora un’esauriente biografia di Antonio Loschi. Gli ultimi studi di Dieter Girgensohn e Germano Gualdo consentono però di puntualizzare molti aspetti della sua vita (rispettivamente per quanto riguarda il periodo milanese e quello alle dipendenze pontificie), lasciati parzialmente in ombra nei numerosi interventi rivolti alla pubblicazione e al commento dell’opera letteraria e poetica. È quindi possibile aggiornare in modo significativo gli ormai datati lavori di base di Giovanni Da Schio e Luigi Pastine. Importanti notizie su Antonio Loschi si ricavano anche da opere generali; inoltre numerosi elementi relativi al contesto romano in cui Loschi si mosse sono ora raccolti negli atti del convegno “Alle origini della nuova Roma. Martino V (1417-1431)”, tenutosi a Roma il 2-5 marzo 1992 e in diverse pubblicazioni della collana “Littera Antiqua” pubblicata dalla Scuola Vaticana di Paleografia, Diplomatica e Archivistica.

Antonio Loschi, cancelliere visconteo (1368-1408)
Antonio Loschi, segretario pontificio (1409-1441)